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Ich habe einen Kameraden

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Indice delle puntate precedenti di Sul retro del Teatro Massimo di Palermo

Il maresciallo Capone, quello che stava agli archivi e che passava sottobanco le informazioni riservate a Pellegrino, aveva piantato una craniata micidiale nello stipite della porta, roba da farsi due o tre giorni a casa per infermità contratta in servizio, eppure non aveva perso il buon umore e nemmeno quel sorriso leggermente ebete che aveva stampato in faccia. Sorriso che assomigliava moltissimo a quello che andava a spasso sui volti dei suoi commilitoni di ogni grado che cercavano tutte le scuse possibili per entrare nella sala d’aspetto del comando e guardare la ragazza.

Era arrivata mezz’ora prima ed aveva chiesto al piantone di essere ricevuta dal capitano Catania: potete immaginarvi con quanto dispiacere le avevano comunicato che il Signor Capitano era fuori stanza per ragioni di servizio, che sarebbe tornato più tardi e che, se lo desiderava, poteva attenderlo in sala d’aspetto e poi, se gradiva qualcosa: un caffè, una bibita fresca, una granita siciliana della rinomata gelateria lì vicino o magari che un gruppo di militari dell’arma desse una prova di forza ed ardimento, formando una piramide umana come usava nelle fotografie di reggimento del XIX secolo, non aveva che da chiedere. Beh, quest’ultima offerta non venne fatta a Fräulein Freia Morgenstern, ma era sottintesa.

Anche il gruppetto di carabinieri che parlava accettabilmente tedesco non si era soffermato sui sottili risvolti glottologici di quel nome und cognome, stampati sul biglietto di visita che era stato consegnato al piantone, sebbene i due vocaboli fossero perfettamente adeguati all’aspetto della donna. Donna perché, insomma, ragazza non lo era più, soprattutto non ne aveva il piglio: si erano limitati a guardarla cercando di non tenere la bocca spalancata come degli idioti.

L’arrivo di Catania ruppe numerosi panieri pieni di uova, in compenso salvò la vita sentimentale di un paio dei suoi sottoposti che stavano seriamente valutando l’opportunità di mollare le rispettive fidanzate per andarsi a cercare una femmina come quella, sempre che ce ne fosse un’altra su questo pianeta.

«Freia, what a surprise. What are you doing in Palermo…» Iniziò Catania, con un sorriso che finiva dove incominciavamo le orecchie.

«Parliamo pure italiano, Alberto, tanto devo fare esercizio, mi fermerò uno poco da queste parti».

«Vieni nel mio ufficio, così possiamo parlare tranquillamente… Posso offrirti qualcosa? Un caffè magari?».

«Sì, da te lo accetto volentieri, perché me ne hanno già offerti uno paio di dozzine i tuoi uomini, ma dimmi, sono tutti siciliani?».

«Una metà sì, ma gli altri vengono da tutta l’Italia, ce n’è persino uno di Bolzano. Non mi dire che quei disgraziati sono venuti tutti a ronzarti intorno…» A Catania stavano cominciando ad uscire fumo e fiamme dalle narici.

«Dai, Alberto, non mi fare il siciliano geloso. Sono stati gentilissimi, mi hanno solo guardata un pochino, ma con molta discrezione. È capitato di peggio laggiù, mi pare».

«Laggiù ad uno che ti stava addosso ho anche sparato, mi pare».

«Quello non voleva guardare e poi gli hai fatto solo paura, e comunque ci voleva quello trattamento per mettere le cose in chiaro».

Il capitano non fece in tempo a chiedere all’interfono due caffè, che il carabiniere scelto Lo Russo entrò con un vassoio ricoperto da una tovaglietta di lino, con sopra perfettamente disposti: due tazzine di caffè – tazzine di porcellana, non i soliti bicchierini di plastica – due bicchieri delle grandi occasioni, tovagliolini di carta accuratamente piegati a triangolo, due bottigliette di acqua minerale – fredda e a temperatura ambiente – e un piattino traboccante di dolcetti di mandorle,  portati quella mattina da Pellegrino per festeggiare una bella notizia di cui vi racconterò dopo, e che, essendo opera di Zia Concetta, valevano la pena di venire apposta dalla Germania per essere mangiati.

Catania non sapeva se incazzarsi con quei guardoni arrapati che si facevano i fatti suoi, o essere contento del trattamento riservato alla sua ospite, poi si ricordò qual era la provenienza dei dolci e decise di essere contento: non avrebbe fatto brutta figura.

«Ti portano tutta questa roba quando chiedi un caffè a Palermo?».

«No, è un omaggio mediterraneo riservato alle signore che ne valgono la pena, anche perché, se ti fossi messa questi pantaloni, laggiù non sarebbe bastata una raffica in aria per tenerli tranquilli».

«Ero un po’ meno elegante, vero? Però questo mi fa ben sperare per il mio lavoro qui a Palermo».

«Stavi benissimo.» Ricordò con entusiasmo Catania, poi fece mente locale alle ultime parole. «Lavoro? pensavo fossi qui in vacanza, cosa c’entra il lavoro?».

«Non quello lavoro: ho cambiato. Non hai letto mio biglietto di visita, no?».

«Ho letto solo il tuo nome e non ho guardato il resto… Ti sei messa a fare la giornalista per Der Spiegel, adesso?».

«Era arrivata ora di cambiare, stava diventando routine, devo fare uno servizio su Sicilia e volevo chiederti qualche consiglio».

«E io che speravo che fossi venuta per me…».

«Anche per te, natürlich, dovevo scegliere fra Paris e Sicilia, e sono qui, vuol dire qualcosa, mi pare».

Fräulein Morgenstern non voleva fare il solito servizio pizzamaffiamandolino, non che al suo pubblico interessasse qualcosa di diverso, ma lei aveva le migliori intenzioni di documentarsi, studiare il terreno, fare un piano operativo e tornare ad Amburgo con materiale rigoroso ed aggiornato.

Alberto Catania tirò un sospiro di sollievo: gli era tornata in mente la famigerata copertina di Der Spiegel del ’77 con gli spaghetti al sugo di pistola, nonché altre gentilezze che il settimanale di Amburgo aveva riservato alle forze dell’ordine italiane. Già così non sarebbe stato un servizio facile, ma conoscendo Freia sapeva che non sarebbe andata in giro a pestare piedi inutilmente: non avrebbe di certo rinunciato a pestare piedi, ma non sarebbe stato inutilmente.

La giornalista – freelance, per il momento, natürlich – era interessata alle procedure operative di polizia e carabinieri, dei cui risultati stavano cominciando ad accorgersi anche nelle brumose terre del Nord: quello era il posto giusto per trovare le necessarie informazioni ed i giusti appoggi. Con teutonica precisione aveva un regolare accredito da giornalista e le formali lettere di richiesta di assistenza da parte della redazione, nelle quali non dico che si scusassero per il passato – nein – ma facevano sperare di volersi comportare bene in futuro. Catania avrebbe fatto qualsiasi cosa per quella donna, ne aveva i suoi buoni motivi, ma quel tipo di decisioni erano di competenza del colonnello, quindi alzò il telefono e chiese di potergli presentare un’ospite inattesa. Il vecchio soldato rimase un attimo sorpreso vedendo entrare in ufficio l’amica di Catania, poi ripensò al curriculum militare del sottoposto e in un ottimo tedesco, frutto dei tre anni passati all’ambasciata italiana in Germania, diede tutti i permessi necessari, promise tutto l’aiuto possibile anche per i rapporti con la questura e quando venne lasciato solo, rimpianse di non avere parecchi anni di meno.

A questo punto Catania poteva portare al ristorante la sua ospite, la collaborazione promessa dall’Arma rendeva la cosa affare di servizio, e dopo pranzo poteva cercare una soluzione ai problemi operativi e logistici di quel reportage giornalistico così delicato.

 

La soluzione, scommettereste forse il contrario, furono il brigadiere Pautasso e l’appuntato Pellegrino.

A parte la fiducia nel cervello dei suoi Bibì & Bibò, alias Watson & Holmes, sapeva che la loro situazione sentimentale era sufficientemente stabile da non correre il rischio che si lasciassero distrarre troppo dalla giornalista tedesca: Secondo si era finalmente deciso a fissare la data delle nozze con Maria e Cataldo aveva appena saputo di aspettare un secondo figlio – ecco spiegato il motivo dei quattro enormi vassoi di dolcetti di mandorle preparati da Zia Concetta – quei due erano i più adatti per evitare problemi.

Quei due furono convocati nell’ufficio del capitano al ritorno del loro servizio di pattuglia e ricevettero le indispensabili e sintetiche istruzioni: Fräulein Morgenstern era una giornalista tedesca incaricata di un importante reportage sull’operato delle forze dell’ordine nelle attività di contrasto alla criminalità organizzata siciliana. Per ordine superiore doveva ricevere l’assistenza necessaria al suo lavoro, quindi sarebbe stata trattata come una reporter embedded nelle operazioni di indagine ed, eventualmente, di intervento del comando e sarebbe stata temporaneamente aggregata alle loro attività di servizio: dal giorno successivo la giornalista li avrebbe accompagnati ovunque come se fosse stata una collega. Non ci fu bisogno di specificare che alla donna non sarebbero dovuto capitare incidenti, a parte l’onore in gioco dell’Arma Benemerita, gli occhi di Catania erano sufficientemente eloquenti; disse anche a Pellegrino che Fräulein Morgenstern aveva molto apprezzato i dolcetti di Zia Concetta e, poiché quel fatto costituiva quasi un’adozione nella vasta tribù dell’appuntato, i due carabinieri presero l’incarico come un fatto personale.

Fräulein Morgenstern venne fatta entrare nell’ufficio e furono fatte le presentazioni ufficiali; i due amici poterono ammirare per la prima volta, erano di pattuglia quella mattina, la donna che aveva sconvolto la “tranquilla” vita del comando e cominciarono a preoccuparsi su cosa avrebbero detto le rispettive consorti, loro sì che erano delle siciliane gelose.

Il mattino dopo i tre cominciarono i soliti giri di pattuglia ed eseguirono un paio di interventi richiesti dal comando, niente di particolarmente serio, e furono sorpresi da quanto la giornalista non fosse di disturbo per il loro lavoro, anzi, mentre aspettavano l’ambulanza, riuscì a tranquillizzare e consolare incredibilmente in fretta una donna che era stata derubata e malmenata da uno scippatore insolitamente brutale. Mancava meno di un’ora alla fine del turno quando dal comando venne l’ordine di recarsi in località Case Vecchie, dove erano state segnalate attività sospette in un rustico abbandonato.

Prima di partire indossarono i giubbotti antiproiettile, ce n’era uno anche per la tedesca, dovevano o non dovevano trattarla come una collega?

Il rustico era una vecchia costruzione ad un piano di non più di un paio di stanze, ancora in decenti condizioni; fecero  un giro tutto intorno e diedero uno sguardo attraverso i vetri lerci delle finestre senza rilevare niente di sospetto, poi quei due si lasciarono cogliere dalla tentazione di fare i rudi poliziotti e di irrompere nella casa, passando per la porta che sembrava solo accostata.

Armi in pugno prepararono l’irruzione: Pautasso si piazzò a sinistra della porta, Fräulein Morgenstern a destra – lei senza armi naturalmente – e Pellegrino prese lo slancio per spalancare l’uscio con un calcio.

«No!» Gridò Pautasso.

«Halt!» Gridò la giornalista.

Pellegrino incredibilmente riuscì a fermarsi e a posare a terra il piede senza urtare la porta.

«Vado alla radio a chiamare gli artificieri.» Disse, pallido come un morto, l’appuntato.

 

Il maresciallo maggiore Rosolino aveva fatto tanta di quella pratica nei Balcani ed in Iraq che ci mise meno di cinque minuti a disinnescare la bomba e solo altri dieci a bonificare con calma tutta la casa e a tagliare i fili trappola attaccati alle finestre della bicocca.

«Vi hanno promosso di recente, ragazzi? Quindici chili di tritolo e tre bombole di gas da venticinque chili l’una solo per voi mi sembrano eccessivi».

Il capitano Catania era livido. Dal punto di vista strettamente tecnico l’operazione era stata un completo successo: non erano caduti nell’agguato, tutto il materiale esplosivo era stato recuperato ed era disponibile per gli accertamenti del caso, potevano persino tenere la cosa ragionevolmente sotto silenzio perché non c’erano giornalisti fra i piedi, tranne Freia naturalmente, ma lei non avrebbe aperto bocca. Il problema era un altro ed era quello che si stavano domandando Pautasso e Pellegrino: chi aveva appena cercato di far fuori la giornalista tedesca e perché?

Sul perché Catania non aveva molti dubbi: qualcuno voleva che Der Spiegel pubblicasse una bella copertina con un piatto di spaghetti al sugo di bomba. Il chi, adesso, non aveva molta importanza: troppi potevano avere interesse a scatenare il diluvio di indagini che sarebbe seguito a quelle tre morti, anche se difficilmente poteva trattarsi di gente della zona, era più probabile che l’idea fosse venuta a qualcuno di fuori, per fare un dispetto a quelli del posto. La domanda che dovevano porsi era: come avevano fatto ad individuare la giornalista, sapere come avrebbe preparato il suo servizio, preparare l’attentato e il tutto in poco più di ventiquattr’ore. Chi aveva parlato?

Pautasso e Pellegrino avevano un’altra domanda che gli girava in testa: come diavolo aveva fatto la donna a capire che la casa era minata? Che ci fosse riuscito Pautasso non era una novità, con tutta l’esperienza fatta in Kosovo; anche Pellegrino mentre stava per tirare il calcione sentiva una vocina che gli diceva: “non farlo, non farlo” e forse sarebbe riuscito a fermarsi da solo; ma lei?

 

Il colonnello era infuriato e la cosa che lo imbestialiva di più era il non sapere con chi infuriarsi. Non poteva di certo prendersela con Catania, e nemmeno con Pautasso e Pellegrino, che anzi avrebbe proposto per un encomio, con la giornalista meno che meno anche se era indubbiamente l’origine di tutto. Fu lieto di apprendere che Fräulein Morgenstern, dopo la sua telefonata di preavviso, era andata immediatamente a presentare le proprie credenziali al questore: per il momento poteva far finta di credere che la talpa si trovasse nella polizia e non fra i suoi uomini, però…

Freia Morgenstern, insistette affinché le cose non cambiassero, lei non aveva di certo paura e si fidava dei due carabinieri a cui l’avevano aggregata, dei quali aveva potuto apprezzare la correttezza e la preparazione professionale. Ciò non sarebbe bastato né al colonnello né a Catania, che aveva anche preoccupazioni più personali; quello che convinse i due ufficiali fu l’ovvia constatazione fatta dalla giornalista che non avrebbe potuto scrivere il suo servizio come intendeva, se avesse dovuto cambiar metodo di lavoro e, soprattutto, che solo correndo il rischio di altri attentati potevano sperare di concludere rapidamente quell’indagine.

I due giorni successivi furono di assoluta routine, movimentata solo da una rissa fra spacciatori extracomunitari vicino alla stazione, finita con un morto accoltellato e due arresti, niente che non fosse abituale anche ad Amburgo.

 

Il pomeriggio del terzo giorno arrivò al comando una confidenza interessante da parte di una delle solite voci bene informate, voci che a volte risultano persino attendibili. Quella notte, in una masseria isolata nelle campagne, era possibile intercettare un passaggio di droga da un grossista ai suoi distributori locali, l’operazione giusta da mostrare alla stampa straniera. Potete immaginarvi quali e quante precauzioni vennero prese per ridurre al minimo i rischi: non bastarono.

Il previsto arresto in flagranza di reato si trasformò immediatamente in un conflitto a fuoco che sembrava una battaglia, mancavano solo il napalm e il tiro dei mortai a fare la differenza.

Pautasso e Pellegrino avevano ovviamente il compito di tenere al sicuro la giornalista e ce la misero tutta. Ci stavano perfino riuscendo quando la donna ordinò: «Possiamo aggirare la loro posizione, seguitemi. Schnell!», dopo di che sparì al passo del leopardo fra i fichidindia che circondavano la masseria, lasciando ai due carabinieri solo la possibilità di andarle dietro, con tutte le precauzioni previste dall’addestramento per il movimento sotto il fuoco nemico ed il terrore che a quella pazza capitasse qualcosa.

Capitò che finirono per tagliare la ritirata alle forze nemiche che ripiegavano ordinatamente, pardon, finirono in mezzo ai criminali che cercavano di scappare dal retro, armati fino ai denti e ben decisi a non lasciarsi arrestare.

Quando Catania riuscì a raggiungerli la situazione era la seguente: Freia stava mettendo un laccio emostatico di emergenza a Pautasso che aveva una ferita al braccio sinistro, Pellegrino non aveva più nemmeno la forza di bestemmiare a causa dei tre colpi di Kalashnikov che erano stati fermati dal giubbotto antiproiettile ma gli avevano rotto un paio di costole. E i mafiosi? Prima di tutto non facciamo confusione: tranne uno si trattava di calabresi, quindi il termine mafiosi è improprio, buono appena appena per i lettori tedeschi che fanno di tutte le erbe un fascio; comunque tre di loro erano stati gravemente feriti dall’unica raffica sparata da Pellegrino prima di venir messo fuori combattimento, gli altri due stavano vomitando anche i cabasisi – in altra lingua hoden – a causa dei terribili calci nei medesimi che aveva rifilato loro l’Hauptmann Freia Morgenstern, pluridecorato ufficiale in congedo dei paracadutisti della Repubblica Federale di Germania. Non chiedetemi, per favore, in quale occasione della loro comune permanenza in Afghanistan Freia ed Alberto si fossero scambiati la traduzione di simili dettagli anatomici: sono fatti loro e non intendo immischiarmene.

 

Naturalmente fu subito evidente che anche il supposto traffico di droga era una trappola per eliminare la giornalista, di stupefacenti infatti non venne trovata traccia, mentre era chiaro che i cinque si erano appostati per prendere sotto il tiro incrociato dei kalashnikov i carabinieri che arrivavano.

Dopo un po’ di indagini fatte dai carabinieri di Palermo e di Reggio Calabria con la collaborazione della polizia tedesca, risultò che si trattava proprio di un dispetto che una cosca della Locride voleva fare a dei concorrenti palermitani e che tutta l’idea era partita da Amburgo: da uno di quella cosca che aveva la donna che lavorava come segretaria nella redazione di Der Spiegel. La poveretta, che non sospettava niente, aveva raccontato al moroso italiano che in redazione stavano preparando un servizio sui maffiosi siciliani e che lo avrebbe scritto un’ex ufficiale dei paracadutisti, aveva persino fornito fotografie di Freia e la traccia prevista per il servizio: la classica cretina innamorata di tutti i romanzi di spionaggio.

L’onorabilità delle forze dell’ordine italiane era salva, mentre quella del servizio di sicurezza del più famoso settimanale tedesco lo era un po’ meno, ma diplomaticamente la cosa non venne fatta troppo pesare.

 

Alla fine il reportage di Freia riuscì un vero successo e quando Pautasso e Pellegrino tornarono in servizio dopo le loro licenze per ferita in servizio, scoprirono che Catania era partito lui in licenza, per un giro turistico della Sicilia, e non aveva nascosto di essere in ottima compagnia.

 

Capone, che non li vedeva da qualche settimana, aveva gli ultimi pettegolezzi: linguistici questa volta.

«Ma lo sapete cosa significa Freia Morgenstern? Lo Russo lo ha chiesto alla professoressa di tedesco di sua figlia: Freia era la dea germanica dell’amore, l’equivalente di Venere per i Romani, e a anche Morgenstern vuol dire la stessa cosa perché è la stella del mattino, cioè di nuovo il pianeta Venere».

«Nein!» Risposero in coro Sherlock Holmes e il Dottor Watson, che avevano avuto tutto il tempo di documentarsi su internet durante la convalescenza. «Freia, o meglio Freyja, era la divinità vichinga della guerra, che cavalcava nella desolazione dei campi di battaglia calpestando i caduti e si divideva con Odino i cadaveri dei nemici uccisi. In quanto al morgenstern era la mazza ferrata che i cavalieri teutonici usavano sin dall’undicesimo secolo per spaccare la testa ai nemici. Hai presente quella palla di ferro piena di punte attaccata ad un manico? ecco, quella roba lì».

 

Capone li guardò un attimo e poi chiese: «Con quale delle due dee pensate preferisca trovarsi in questo momento il Capitano Catania?».

«Capone, sei un uomo di mondo. Si capisce che hai fatto il militare a Cuneo.» Concluse Pautasso.

Indice delle puntate precedenti

 


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